Raccontati: renditi indimenticabile

15 Novembre 2016 | 8 commenti

Un po’ di tempo fa esce su diversi giornali un articolo che annuncia la chiusura della libreria. Le cause non c’è neanche bisogno di dirle: la crisi, il disinteresse delle istituzione per la cultura, la competizione con gli store online che fanno arrivare tutto e subito, la gente che legge sempre meno perché ci sono gli iPhone, ecc.

Come è sacrosanto che sia partono gli appelli sui social: la libreria non deve chiudere perché altrimenti la città e il nostro Paese perdono un riferimento culturale.

Così comincio a cercare un po’ di informazioni su questa libreria, perché sì, mi dispiace, e sono pronta a incatenarmi davanti alla libreria per protesta, ma vorrei sapere chi è questa libreria (sì, ho scritto ‘chi è’, non è un refuso).

E non trovo granché. Esclusi gli articoli sulla chiusura, da cui scopro chi è il libraio, Google mi restituisce solo risultati tristaroli come paginebianche e misterimprese. Su Facebook trovo due pagine, entrambe abbandonate anni fa. La descrizione potrebbe essere quella di una libreria qualsiasi.

Per farvi un paragone è un po’ come se vi dicessi che Pasquale Pautasso è finito in galera e che protesterò per questa ingiustizia. Venite a protestare con me?

Siamo onesti, almeno qualche domanda ve la fareste. Cos’ha fatto questo Pasquale Pautasso? È una persona per cui vale la pena combattere? Facciamo così, adesso vi racconto.

Pasquale stava camminando per strada, era mattina presto, anzi prestissimo. Pasquale fa il panettiere precario, nel senso che nonostante i suoi 49 anni lavora sotto padrone che lo paga poco e male. Ma lui non si arrende perché ha due bambine, bellissime davvero bellissime, e una moglie che fa quello che può arrabattandosi tra pulizie scale e assistenza anziani. Ma Pasquale non è uno che si amareggia o che si lamenta, è uno che si alza la mattina presto, che lavora anche a Natale, che sorride sempre. Ha questa buffa abitudine di mettere scarpe di colore diverso, una blu e una arancione. Quando le figlie gli chiedono perché, risponde che è per suo padre che gli diceva che era talmente asino che non sapeva distinguere la destra dalla sinistra. Così aveva preso a usare scarpe di colori diversi.

Dicevamo, Pasquale era per strada, la sue scarpe una blu e una arancione, e vede una signora anziana che viene aggredita mentre porta a spasso il cane. Un delinquente vuole rubarle la borsa: allora lui che è grande e grosso interviene e dopo una colluttazione mette in fuga il delinquente. Solo che la signora, la signora Gertrude Gabaletti, non ci vede tanto bene, è un po’ sorda e probabilmente non è più tanto lucida e quindi scambia il suo salvatore per l’aggressore. Qualcuno ha chiamato la polizia e Pasquale viene preso con le mani nel sacco. Il tizio del piano di sopra dice di aver assistito a tutta la scena: è lui il colpevole!

Ora scendereste in piazza con me per Pasquale? Eppure è sempre lo stesso Pasquale Pautasso di prima. Solo che ora sapete chi è, cosa fa, che tipo di persona vi ritrovereste davanti. Sapete che se foste in difficoltà lui correrebbe ad aiutarvi, che non vi lascerebbe soli.

E per un’attività, soprattutto se piccola, è la stessa cosa: se non vi raccontate, se non spiegate alle persone cosa fate, perché lo fate e come lo fate, qual è la vostra storia non potete pretendere che vengano a cercarvi, che vi diano la possibilità di ritagliarvi uno spazio nella loro vita. Non c’è storia che, se ben raccontata, non faccia venire voglia alle persone di saperne di più o che non procuri una stretta al cuore quando, spenta la tv o girata l’ultima pagina, si abbandonano i personaggi.

Se vi raccontate vi rendete accessibili, mostrate di avere fiducia nel prossimo (perché raccontarsi è anche esporsi) e ve la conquistate, ma soprattutto vi rendete indimenticabili.

indimenticabili

Proviamo? Di che colore sono le scarpe di Pasquale?

8 Commenti
  1. Giuditta

    A volte il timore di essere considerati sconfitti finisce per prevalere sul raccontarsi.

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    • Carlotta

      Il timore è comprensibile, ma se non ci si racconta non si viene considerati affatto. Ed è lì la vera sconfitta.
      Poi c’è modo e modo di raccontare una sconfitta. A volte è solo un ostacolo da superare, uno spunto per crescere.

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  2. Grilloz

    Però io qualche dubbio sulla storia di Pasquale Pautasso me lo porrei, posso capire la signora che non ci vede più tanto bene, però c’è anche il vicino che lo accusa e probabilmente anche chi ha chiamato la polizia 😛
    Insomma la storia può anche essere bella, ma non è detto che racconti la verità.

    Il raccontarsi è sacrosanto, però a volte i racconti non avvengono su internet, ma negli scambi quotidiani tra persone. Chi meglio dei suoi clienti abituali può conoscere la storia di quella libreria? O di qualunque altra attività? E non è detto che i clienti abituali mettano una recensione su tripadvisor 😛

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    • Carlotta

      Sono d’accordo con te. Non è obbligatorio raccontarsi su internet. Così come non è obbligatorio farlo in tv o in radio o sui giornali. Se non hai bisogno di altri clienti e i tuoi clienti abituali ti permettono di sopravvivere, anzi di crescere, perché poi quello è l’obbiettivo, non ha senso spendere energie su internet o su qualsiasi altro mezzo.
      Il mio fruttivendolo, per dire, non ha una pagina facebook. Mette fuori le cassette della frutta di stagione e io vado a comprare lì perché so che la frutta è buona e perché mette le etichette di provenienza.
      Però anche quello è un modo di raccontarsi.

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      • Grilloz

        Ho visto negozianti bravissimi a raccontarsi, con le clienti che pendevano letteralmente dalle loro labbra, ho visto signore saltare il proprio turno in coda per poter essere servite dal commesso di fiducia. Raccontare è qualcosa che ci viene istintivo, lo facciamo da quando abbiamo imparato a parlare. Poi c’è chi sa farlo meglio e chi sa farlo peggio 😉

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        • Carlotta

          Che venga istintivo non è detto. Come vedi dal commento di Giuditta non è così per tutti. I clienti per affezionarsi devono sapere che esisti e devono capire qual è il tuo valore aggiunto. Altrimenti non ci sarebbe bisogno di pubblicità.

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        • Luca

          Se sono così bravi a raccontarsi non chiudono. Poi voglio vedere chi si può permettere di dire che non vuole altri clienti. Non siamo più negli anni ’60 dove basta aprire un negozio per farsi i soldi. Oggi la gente cerca su google quello che gli serve. Se non lo trova va altrove.
          I dati parlano chiaro. http://wearesocial.com/it/blog/2016/01/report-digital-social-mobile-in-2016

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          • Grilloz

            Ma infatti quelli bravi non chiudono 😉 (anche se ci possono essere eventi indipendenti dalla capacità del negoziante, tipo raddoppio dell’affitto dei locali).
            Già, e probabilmente domani lo cercherà direttamente su facebook senza mai uscire dal social. Poi penso dipenda dal tipo di attività, in alcune il contatto umano diretto è più imporatante che in altre, e, a maggior ragione, quando è importante il contatto umano è importante sapersi raccontare che lo si faccia di persona u usando altri media.

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