Radici di Alex Haley ci insegna quanto vale lottare per la propria storia

27 Aprile 2017 | 0 commenti

Uno degli ultimi romanzi che ho letto è Radici di Alex Haley. L’autore ha ricostruito la storia della sua famiglia, da parte di madre, partendo da Kunta Kinte che fu catturato dagli schiavisti in Gambia e poi deportato in America.

Di questo romanzo mi hanno colpito molte cose: quella che mi ha colpito di più però è la gestione delle informazioni, dei saperi e quindi anche delle storie che sono un tema fondamentale nel libro.

 

Ricostruire la propria storia

È pazzesco come Haley sia riuscito a ricostruire la storia della sua famiglia. Tenete conto che Kunta Kinte è nato a metà ‘700 in Gambia, che non sapeva l’inglese e non sapeva scrivere. Quindi tutto ciò che viene raccontato su di lui e su parecchie generazioni successive è stato trasmesso solo per via orale.

Non solo, la famiglia è stata più volte smembrata e dispersa perché figli e figlie venivano venduti ad altri proprietari e non c’era modo di tenersi in contatto con gli altri membri della famiglia.

I cantastorie

Aggiungiamo poi la difficoltà di Haley di ricostruire ciò che è successo a Kunta Kinte prima che venisse deportato in America. Fortuna che nella sua tribù c’erano i griot, una sorta di cantastorie che memorizzavano secoli e secoli di storie, generazioni e parentele. È grazie a loro se Haley è riuscito a scoprire qualcosa del suo bis-bis-bis-ecc-ecc-nonno.

Parliamo di secoli di storia tramandata oralmente.

Parole come briciole

Lungimirante Kunta Kinte, che lottando contro il tentativo di sradicamento dei padroni bianchi, tramanda alcuni termini della lingua Mandinka a sua figlia. Questo tramandarsi parole e relativo significato diventa poi una vera e propria tradizione. Che arriva fino ad Haley: è grazie a queste parole che riesce a ritrovare la via di casa, un po’ come Pollicino.

Niente tamburi

Agli schiavi era vietato usare percussioni. E non solo per  una questione culturale ma perché molte tribù africane comunicavano attraverso il tam-tam. E comunicare significa organizzarsi, magari rivoltarsi. Teniamo conto che a un certo punto i neri erano talmente tanti (e talmente incazzati) che cominciavano a fare paura ai padroni bianchi.

Nel libro però si racconta di come i neri avessero un altro modo per comunicare: ossia il canto. Da qui nasce un intero genere.

Libri chiusi a chiave e giornali bruciati

Ai neri era vietato leggere e scrivere. Se si scopriva che uno schiavo sapeva farlo veniva punito e venduto. Emblematica la scena in cui un padrone bianco, per altro tra i più “compassionevoli” della storia, chiude a chiave la libreria e comincia a bruciare i giornali perché sospetta che la cameriera sappia leggere.
E gli schiavi non devono sapere che la guerra la stanno vincendo i nordisti. Soprattutto, di nuovo, non devono poter comunicare tra loro e fuori dalla proprietà dei loro padroni.

Questo libro non è solo una grande storia, è anche un inno alla libertà e alla lotta per mantenere la propria storia, la propria identità e le proprie radici. Che guarda a caso passa attraverso le parole, le tradizioni e le storie.

Dovremmo ricordarci la storia di Kunta Kinte e la fatica che ha fatto Alex Haley a ricostruirla quando affermiamo che “il governo ci vuole ignoranti” o quando scegliamo di non leggere, non ascoltare le storie degli altri, non informarci.

Radici

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