Uno dei motivi per cui le storie sono importanti è perché ci spingono ad abbandonare le nostre scarpe per indossare quelle di qualcun altro e a metterci in viaggio.
Quando leggiamo (o guardiamo o ascoltiamo) ci abbandoniamo letteralmente a un altro mondo, a un’altra vita. Proviamo empatia. Anche simpatia, ma non è un requisito necessario per entrare nella storia.
A volte le storie ci connettono con realtà molto diverse dalla nostra, o che ci spiazzano, o che ci infastidiscono perché ci fanno entrare nei panni di qualcuno che è talmente diverso da noi, così estraneo, da cambiare la nostra percezione del mondo.
Per questo a volte le storie vengono rifiutate: come nel caso di questo utente che non voleva conoscere la storia di Malala perché si era fermata solo al velo che indossava.
È sempre interessante quando si propongono storie scomode, con personaggi brutti e cattivi (pensate a Breaking Bad) o peggio ancora con protagonisti che fanno sentire noi dalla parte del torto (pensate a Radici, dove i bianchi sono i veri nemici).
Oppure a renderci la vita difficile è il genere o il sesso dell’autore.
Con Las Vegas abbiamo pubblicato un western piuttosto atipico, con protagoniste femminili. Ve lo dico quanti uomini hanno rimesso giù il libro perché scritto da due donne? O preferite un antiacido?
Anche in pubblicità le storie possono spiazzarci con un messaggio che non ci aspetteremmo: mi viene in mente la pubblicità di Heineken con Nico Rosberg che… rifiuta di bere una birra.
O lo spot Ikea dove il protagonista è il figlio di due genitori separati.
Nelle storie si può cercare conferma e conforto, ma non deve essere necessariamente così.
Funziona, funziona raccontare storie scomode, fastidiose, che ci mettono in difficoltà, che ci spiazzano, che non ci dicono quello che vorremmo sentirci dire.
Raccontare la tua storia e quella del tuo prodotto ti connette con le persone, ma puoi farlo in tanti modi diversi: deve mettere in connessione te con il tuo pubblico e scegliere non è sempre semplice.
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