È il 1935. Siamo a Torino. Anita è giovane, bella e fidanzata: potrebbe occuparsi dei preparativi per il suo matrimonio con Corrado (giovane, bello, gentile, benestante). Invece, pensa te, si è messa in testa che vuole lavorare.
E di lavoro batte a macchina traduzioni di racconti gialli per una rivista.
È il 1935 e già la censura fascista si abbatte su tutto ciò che viene pubblicato: i racconti gialli della rivista Saturnalia si salvano, ma solo perché piacciono, tanto, alla gente, e perché ci sono i racconti (noiosi a morte) di Bonomo, fascistissimo commissario che placa gli animi dei censori.
Anita, che davvero non è una grande lettrice, con i racconti gialli americani scopre un mondo: sono storie che “mettono il fiatone da seduti” e che “mostrano lo sporco sotto il tappeto”.
Sporco che naturalmente a Torino, in Italia, durante il fascismo non può esistere e se esiste viene da fuori e si fa in fretta a debellarlo, come mostra il commissario Bonomo.
Ad Anita però capita di assistere a un fatto violento ai danni di un debole (sì, sto cercando di non spoilerare). Dietro c’è un omicidio, per mano di un assassino ora ritenuto un eroe di guerra, che non verrà mai ritenuto colpevole. A meno che qualcuno non si prenda il rischio di raccontare la sua storia.
Alice Basso con Il morso della vipera fa riflettere la sua Anita – e tutti noi – sul potere delle storie: l’importante alla fine non è che il colpevole venga messo alla gogna e punito, che venga ricordato per quello che è, che la vittima venga vendicata. Se i lettori si portano a casa un po’ di pietà per i più deboli e “Una prospettiva un po’ diversa da cui vedere le cose, che metta radici nel cuore, che lavori sottobanco.” allora la storia ha assolto il suo dovere. Se il lettore si ritrova a farsi domande, anche in un momento storico in cui farsi domande è pericoloso, le storie hanno vinto.
Il potere delle storie
Alice, come Anita, crea una storia coinvolgente, con una protagonista interessante, scritta con uno stile brillante. Che intrattiene chi vuole essere intrattenuto.
E agli altri dona una prospettiva un po’ diversa da cui vedere le cose, che mette radici nel cuore e lavora sottobanco.
Questo romanzo mette in luce un aspetto interessante della narrativa: la storie non devono necessariamente educare o ‘mandare un messaggio’. Le storie devono innanzitutto farti ragionare per ‘E se?’.
E se tutto questo ‘ordine e pulizia’ fossero ben poco giusti? E se per mantenere l’equilibrio dovessimo sacrificare la libertà e le ossa di qualche debole? E se tiriamo fuori lo sporco da sotto al tappeto e lo soffiamo in faccia alle persone?
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